Rivista Fumetto

Tra i neri e il western...

L'intervista a Beniamino Delvecchio scritta da Luciano Tamagnini

A guardare bene le ultime serie popolari uscite si scopre che sono ormai moltissimi i nomi di debuttanti che si stanno facendole ossa non piu’ attraverso le autoproduzioni, come avveniva fino a qualche tempo fa, ma all’interno del fumetto inserito nella normale produzione commerciale. Ci sono testate come quelle dell’Eura o della Star che stanno dando fiducia a piu’ generazioni di nuovi realizzatori che altrimenti non avrebbero avuto la possibilita di farsi le ossa: non esiste piu’ il paradiso del porno che permetteva di costruire, di errore in errore, un proprio stile a disegnatori alle primi armi o di costruirsi un metodo di narrazione per chi voleva divenire sceneggiatore.

Il problema e’ che spesso, proprio perche’ inseriti in un meccanismo piu’ grande di loro, che pretende da loro subito il meglio, dove il giudizio dei lettori e’ pieno di (giuste) richieste come livello di realizzazione, molti di questi principianti cadono lungo il sentiero verso il professionismo vero e anche se hanno delle doti, non sempre queste li portano ad affermarsi in un mondo dove la condanna e’ immediata e spietata: se parti con il piede sbagliato, con una serie che non sfonda, non e’ come negli anni quaranta quando potevi avere un'altra occasione a tambero battente: oggi chi fallisce esce dal mercato.

E quindi a quella prima generazione di debuttanti che oggi lavora sui periodici bonelliani, dopo essersi fatta le ossa su Lazarus Ledd o su John Doe, mancano all’appello moltissime firme che non sono riuscite ad integrarsi nel mondo del lavoro con le immagini.

Per cui incontrare uno di questi giovani di “prima generazione” che ha saputo farsi valere, riuscendo oltre tutto a mettere la firma su lavori estremamente diversi tra di loro, tanto che qualcuno ha ribadito per lui l’aggettivo di “eclettico”, e’ un vero piacere.

Quindi via cominciamo a parlare con Beniamino Delvecchio, che e’ oltretutto in un momento ribollente di nuovi progetti:

 

 

D.: Facciamo un po’ il quadro dei dati anagrafici e dei tuoi percorsi scolastici.

R.: Sono nato Milano il 1 dicembre 1969; lì nel 1987 mi sono diplomato al liceo artistico. Nel 1992 mi sono diplomato all'accademia di belle arti di Brera con una tesi sul fumetto.

D.: Come ti sei avvicinato al fumetto e quali hai amato di più?

R.: Da piccolo, quando avevo dieci anni circa, ero affascinato dai cartoni giapponesi come Goldrake e Mazinga e compravo giornalini che mi raccontavano le storie di questi personaggi a fumetti.

In questo periodo mi divertivo anche a realizzare tutto da solo dei giornalini a fumetti con le storie di Goldrake, Gundam o altri personaggi dei cartoni; poi li regalavo ai miei amici.

Quindi per me è stato sempre un bisogno primario raccontare con i fumetti.

D.: Quando hai pensato di utilizzare queste tue doti grafiche non solo per fare felici i tuoi amici, ma per entrare professionalmente nel mondo delle immagini?

R.: Via via che passava il tempo il mio gusto grafico cambiava e mi sono avvicinato a fumetti più “seri”, di qualità più alta come quelli pubblicati da Il Giornalino con autori eccezionali quali Toppi, Battaglia, Zaniboni e tanti altri sino a Milazzo.

In verità Milazzo l'ho scoperto meglio più tardi con Ken Parker quando nel 1986 ho visto in edicola le sue splendide copertine ad acquerello.

Attirato l'ho acquistato subito e ho scoperto un modo nuovo e meraviglioso di raccontare. Dall’incontro con Ken Parker deriva la mia decisione definitiva di fare il disegnatore di fumetti e così ho cercato di entrare in contatto con diversi editori portando in giro la mia cartellina con i miei primi tentativi grafici. Ho tentato con Bonelli portando i disegni a Corteggi e ad Antonio Serra e ho capito cosa mi serviva per correggere i miei lavori e per poter essere pubblicabile.

Quindi ho provato con Dardo, poi Xenia, con cui fortunatamente ho iniziato questa attività a livello professionale (era il dicembre del 1994). In quel periodo collaborava il Dottor Mantelli che ha visto in me delle buone doti e mi ha arruolato per disegnare il fumetto Bad Moon, un racconto di fantascienza; per me è stato un buon inizio che mi ha permesso di farmi le ossa.

D.: Parliamo un poco di questi tuoi primi lavori: come sei arrivato alla Xenia e come hai conosciuto Martelli. Come si presentava la casa editrice?

R.: Alla Xenia mi sono presentato nel momento giusto perché in ottobre del 1994 cercavano nuovi disegnatori per il fumetto Bad Moon; visti i miei disegni la casa editrice (gestita dalla signora Monti) mi ha passato la documentazione con gli studi dei personaggi e degli ambienti che aveva realizzato Andrea Da Rold. Con questi studi a casa con molta calma ho realizzato tre tavole di prova (sequenza di mia fantasia realizzata con i loro personaggi), cercando di realizzare un disegno pulito, abbastanza chiaro e leggibile.

Quando mi sono presentato in redazione c'era Andrea Mantelli, che valutava i disegnatori e subito ha apprezzato le mie prove.

La casa editrice mi ha fatto una ottima impressione. Era in pieno centro a Milano (vicino a piazza Cadorna) e sono stato ricevuto in una grande stanza con tavolone per le riunioni.

La titolare della casa editrice era molto appassionata di fumetti e puntava molto sul progetto Bad moon: infatti con l'uscita del primo numero fecero una grande pubblicità presso la libreria Marco's in piazza San Babila a Milano, ma purtroppo il fumetto non ebbe un gran successo.

D.: Di chi erano i soggetti e come erano concepiti?

R.: Le sceneggiature su cui ho lavorato io erano di Roberto Pergolani e mi sono divertito davvero moltissimo a disegnare le sue storie, perché in realtà  mi forniva degli story board con dei disegnini che rendevano benissimo ciò che desiderava raccontare.

Ma la traccia generale della serie e anche alcune sceneggiature erano di Claudio Bruneri Fusi.

D.: Quanti episodi erano e come è stato il tuo lavoro (come documentazione, impostazione delle pagine, taglio delle vignette, ecc.) visto che eri alle prime armi nel fumetto?

R.: La serie in tutto è stata composta da 7 episodi e io ho realizzato i numeri 3 e 7.

Io, pur essendo alle prime armi, mi sono trovato benissimo, sono entrato in pieno nell'atmosfera e forse usando un po’ di istinto e con l'aiuto dello sceneggiatore, che mi forniva gli story board, sono riuscito a disegnare con una certa naturalezza.

Ho realizzato i due episodi in 4-5 mesi l'uno (anche se nel primo numero ho avuto l'aiuto di un inchiostratore, di cui non  ricordo il nome). Per la documentazione mi ispiravo moltissimo ai disegnatori di Natan Never, che mi facevano respirare le stesse atmosfere e in particolare a Roberto De Angelis; tutto questo per l'editore andava benissimo, anche perché il fumetto aveva un'impostazione bonelliana con circa 5-6 vignette per tavola.

Essendo ai primissimi lavori naturalmente copiavo molto, ma credo sia sempre necessario farlo (ancora oggi alle volte mi ispiro utilizzando disegni, foto, films, ecc.).

D.: Qual è stato l'editore successivo a cui ti sei rivolto e come ci sei arrivato?

R.: L'editore successivo è stato Bonelli e ci sono arrivato di mia iniziativa dopo aver visto stampato il mio primo numero di Bad Moon (cioè il numero 3 della serie). Quando in redazione hanno visto il mio disegno e la mia disponibilità a lavorare anche con una certa velocità, mi hanno affidato a Federico Memola, che in quel momento era il curatore e lo sceneggiatore principale della testata contenitore Zona X. Era il settembre del 1995 e mi affidarono un episodio della Stirpe di Elan (Zona X n.15 intitolato L'ombra del drago), un fantasy davvero ben costruito; io ripresi un po’ lo stile degli Esposito Bros (che avevano caratterizzato i vari personaggi e ambienti della serie), ma cercando anche di personalizzare un po’ il tratto.

In quel periodo Zona X ospitava nuovi disegnatori e dava certamente una maggiore libertà di stile rispetto a serie storiche della Bonelli, dove è maggiormente necessario attenersi ai modelli precedenti.

D.: Come erano le sceneggiature di Memola? E lavorare con lui come è stato?

R.: Le sceneggiature di Memola erano dettagliatissime e curatissime; egli ti forniva un po’ di documentazione fotografica o disegni di altri per spiegare meglio ciò che andava rappresentato.

Federico Memola è un ottimo professionista: curava bene Zona X; inoltre come tutti sanno dal punto di vista umano è un ottima persona, quindi la collaborazione con lui è stata senz'altro buona e utile ad affinare la mia professionalità (visto che è stato necessario fare anche diverse correzioni ai  miei lavori, correzioni che mi hanno permesso di capire meglio come disegnare e raccontare con i fumetti).

D.: Quante storie hai realizzato per Zona X e perché poi hai scelto un altro editore?

R.: Ho disegnato due episodi per Zona X: il primo è stato un episodio della Stirpe di Elan e l'altro un episodio libero di genere fantascientifico.

I rapporti di lavoro con Bonelli si sono interrotti quando il periodico ha chiuso i battenti e purtroppo io non sono stato trasferito su altre testate. Per questo motivo ho dovuto cercare altri editori e un po’ ripartire da capo.

D.: E' stato il momento in cui ti sei accostato a L'Intrepido? Come è avvenuto questo contatto? Cosa hai realizzato per l'Universo? Come è stato lavorare per loro e come mai hai cessato?

R.: Sì, mi sono avvicinato all'Intrepido, perché sapevo che in quel momento pubblicavano sia un fumetto di stampo bonelliano legato al fantastico che si collegava bene al mio stile (Esp) sia perché nella loro rivista storica Intrepido c’era spazio per racconti di sapore diverso. Mi sono presentato in redazione senza preavviso portando tante mie tavole da mostrare. Ad accogliermi ci fu una signora (di cui non ricordo il nome) che in quel periodo era la responsabile della sezione fumetti della casa editrice Universo. Fu con me gentilissima e molto professionale. Il mio tratto è piaciuto e mi hanno affidato una storia libera di 12 tavole di genere fantascientifico. Purtroppo anche lì le cose non andavano benissimo e da lì a poco L'Intrepido ha chiuso e cosi non mi hanno affidato altre storie.

D.: Allora si fa avanti la Star che ti affida Lazarus Ledd: come sei entrato in contatto con Capone? Come è stato lavorare con lui? Come erano le sue sceneggiature? A che segno ti sei ispirato per il personaggio? Quante storie hai realizzato? Quale dei protagonisti amavi di più disegnare?

R.: Mi rammento che prima di collaborare per l'Intrepido a fine 1995 ho realizzato un fumetto di genere fantasy per un piccolo editore di Pavia: Rock'n'comics. Il fumetto si intitolata Worelands, era scritto da Cristina Turla e raccontava le peripezie di alcuni nostri eroi positivi che dovevano recuperare le gemme utili a ristabilire l'equilibrio positivo delle Worelands (terre immaginarie, naturalmente). Ne abbiamo realizzato un solo numero di 20 tavole in bianco e nero; poi la serie non ha proseguito, perché l'editore ha preferito stampare materiale giapponese che importava (con minori costi di realizzazione).

Ma torniamo alla Star: con Ade c'era da anni un rapporto di conoscenza, quasi di amicizia; Ade da sempre mi considerava un bravo disegnatore. L'occasione per collaborare si è presentata quando la Star comics ha deciso di editare Goccia nera, su testi di Tiraboschi; io realizzai diverse tavole di prova che non andarono bene per Tiraboschi, ma Ade le ritenne valide e mi diede da fare delle prove per Lazarus Ledd.

I risultati furono positivi e cosi mi arruolò per disegnare il suo personaggio (era agosto del 1998, ero al mare a Rimini quando telefonicamente mi diede la bella notizia).

Per me fu una soddisfazione enorme! Iniziai con tutto l'entusiasmo che avevo. Le sceneggiature di Ade erano sintetiche, ma chiare, precise, efficacissime. Egli cercava di rendere le storie molto dinamiche e avvincenti, mettendo spesso scene di azione (ogni 4-6 tavole secondo lui ci vuole una scena d'azione). Come da sua richiesta, io mi sono ispirato al tratto di Alessandro Bocci e di Bartolini, un disegno pulito, ma molto dinamico e espressivo, con forti campiture nere, che rendono il segno anche molto cinematografico. Ade era molto esigente, ma lavorare con lui mi ha permesso di correggere quei piccoli errori che ancora facevo, diventando un professionista vero. Con lui ho davvero imparato il mestiere: osservando i disegni capiva immediatamente cosa non andava, se la prospettiva era sbagliata, se l’anatomia non funzionava, se l’inquadratura era sbilenca. In tutto ho realizzato una decina di storie (anche se le ultime due ho collaborato come inchiostratore su matite di Sergio Gerasi, perché già lavoravo per Diabolik e avevo poco tempo per fare altro). I personaggi che amavo di più disegnare erano Lazarus (naturalmente!), Samuel Sand e la Gatta Ladra. Io non ho portato particolari modifiche all'impostazione della serie; quando sono entrato io erano già stati realizzati quasi 70 numeri e quindi la serie aveva già una sua impostazione; quello che ho cercato di fare è realizzare dei disegni che rappresentassero al meglio il personaggio, rendendolo affascinante, suggestivo e realistico al tempo stesso (come sempre Ade chiedeva a tutti i disegnatori) e mi auguro che i lettori abbiano apprezzato il mio intento.

D.: A questo punto ti potevi definire un professionista a tutti gli effetti: come era mutato il tuo stile dal primo approccio al mondo del disegno ai lavori con la Star?

R.: Lavorando per la Star Comics con Ade ho perfezionato il mio modo di disegnare, impegnandomi a rendere sempre comprensibile e chiaro ciò che il lettore doveva leggere e quindi mettendo un freno al mio modo più istintivo di disegnare. Ogni segno ha una valenza e le anatomie e le prospettive devono essere sempre giuste, così mi documentavo con foto, fotoromanzi e altro; per ottenere una tavola più pulita e perfetta possibile disegnavo la matita su un foglio leggero, che poi ricalcavo inchiostrando sul cartoncino definitivo.

D.: Come sviluppavi le tue giornate di lavoro? Eri un tipo puntuale o lo sei divenuto solo nell’ultimo periodo?

R.: Dovendo consegnare 96 tavole in 4 mesi e mezzo lavoravo tutti i giorni, sabato e domenica compresi con una media di 10 ore di disegno al giorno. Sarebbe meglio poter lavorare con calma e quando c'é ispirazione, ma non sempre il lavoro e le consegne te lo permettono

D.: Quali difficoltà grafiche hai incontrato in questa tua evoluzione?

R.: Le difficoltà principali che ho incontrato  disegnando Lazarus sono state relative alla tecnologia (telefonini e simili marchingegni) e nel disegnare macchine e fondi moderni (ho sempre preferito disegnare serie fantasy, western o fantascienza), ma con impegno e documentandomi sono riuscito a ottenere dei buoni risultati.

D.: Quando hai incontrato Diabolik? Chi ti ha proposto di collaborare con l’Astorina e come sono avvenuti i primi contatti?

R.: A Cartoomics del 1999 portai dei disegni di Diabolik che avevo fatto anni prima; speravo di incontrare l'interesse di qualcuno. Le mostrai a Carlo Meschiari di Fumetteria che mi disse: "Sono belle, mi piacciono; conosco bene Lorenzo Altariva del Diabolik Club che potrebbe essere interessato". Altariva mi disse subito che il mio livello era buono e che in quel momento l'Astorina aveva bisogno di nuovi disegnatori già rifiniti, con la possibilità di inserirli anche in un lavoro redazionale. Immediatamente mi presentai in Astorina e loro molto gentilmente mi diedero delle tavole di sceneggiatura di prova.

Le disegnai con tutto il mio impegno e Mario Gomboli, Brenno Fiumali e Franco Paludetti accettarono la mia collaborazione.

Iniziai a settembre del 1999 a lavorare in redazione affiancando Paludetti nelle chine e occupandomi di molti impegni redazionali.

D.: Come erano le sceneggiature per le storie? Quante ne hai realizzate? Con chi tra gli scrittori ti sei trovato meglio?

R.: Io mi occupavo principalmente dell'inchiostrazione e quindi non avevo molto il problema del primo contatto con le sceneggiature (che deve risolvere di più il matitista). Posso dire che è stato emozionante inchiostrare tavole di Zaniboni, Facciolo e di altri bravissimi disegnatori.

Le storie che ho inchiostrato erano scritte da Patricia Martinelli, grandissima professionista, e da Tito Faraci, uno sceneggiatore molto bravo ed eclettico.

D.: Che scelte grafiche hai dovuto fare per immedesimarti in storie nere che non erano fino a quel momento state nelle tue corde?

R.: Io ho seguito molto lo stile di Paludetti e devo dire che la composizione a due o tre vignette mi piace e rende più scorrevole, più immediata la lettura e quindi anche l'esecuzione grafica.

D.: Come è terminata la tua collaborazione con l’Astorina e perché?

R.: La mia collaborazione con l'Astorina è terminata nell'agosto del 2005, perché io mi sono allontanato dall'Italia per motivi personali e giustamente la casa editrice ha cercato delle persone valide per sostituirmi non solo nell’inchiostratura, ma anche negli impegni di redazione.

In ogni caso abbiamo mantenuto un ottimo rapporto e Mario Gomboli mi chiama spesso per partecipare a mostre o incontri con il pubblico.

D.: Con l’ed. Magnolia hai incontrato, invece, per la prima volta il tema western: come hai conosciuto questo editore? Come è nato il personaggio di Tokae? E che storia raccontava? Come hai toccato le corde grafiche del western? Ti sei rifatto a qualche altra serie oppure ti sei mosso sulla base della tua fantasia?

R.: L'incontro con l'editore è avvenuto molto casualmente. D'estate vado in villeggiatura a Varallo Sesia e nel 2003 avevo organizzato una mia mostra; l'organizzatore mi ha proposto di collaborare con suo figlio che stava a Milano e che appunto presiedeva questa associazione culturale Magnolia. Egli poteva pubblicare libri e fumetti.

Inizialmente con Magnolia ho tenuto un corso di fumetto (per un anno); quando io ho deciso di realizzare Tokae, che considero il “mio” fumetto, ho cercato qualcuno disposto a "prestarmi" il nome per poter pubblicare ed essere tutelato.

Magnolia, che sapeva di questo mio progetto, si è offerta volentieri e così Tokae nel settembre 2004 è stato pubblicato con il numero 0 sotto il loro nome; i numeri successivi li ho pubblicati direttamente io.

La nascita del mio fumetto Tokae derivava da una sincera esigenza che avevo da tempo di realizzare un fumetto che fosse completamente ideato da me.

Da anni lavorando in Astorina avevo imparato tutte le tecniche del fumetto dall'ideazione del soggetto al procedimento di stampa; così ora volevo usare queste conoscenze, questa esperienza per realizzare qualcosa di totalmente mio.

L'idea di un personaggio giovane (Tokae ha circa 15- 16 anni) mi è venuta pensando ai primi lavori di Milazzo. Egli disegnò agli inizi un bel personaggio, Tiki, che venne pubblicato su Il Giornalino.

Seguendo quindi le orme di Milazzo, che considero un mio ideale maestro, pensai così di raccontare le avventure di un giovane pellerossa, che vive le sue prime esperienze a contatto con la natura. Questo soggetto iniziale credo dia molte possibilità narrative per il futuro; inoltre io mi sono documentato molto leggendo libri sui nativi americani e le loro tradizioni (in particolare la biografia di Cavallo pazzo, dove attraverso il racconto della sua vita e della sua crescita vengono illustrati comportamenti e tradizioni secolari dei Sioux).

Oltre a documentarmi con libri seguivo (e seguo) molto fumetti come Ken Parker, Magico Vento e Tex; i fumetti che ho citato mi aiutano molto nella scelta dell'inquadratura e dell'atmosfera da are a questo western, anche se nel mio fumetto ho scelto di non far incontrare spesso Tokae e la sua tribù con i visi pallidi.

Il mio racconto si colloca ai primi dell'ottocento e quindi non vi è ancora stata la grande colonizzazione da parte dei bianchi; il mio obiettivo è piuttosto di raccontare attraverso le gesta del mio personaggio, le tradizioni dei nativi americani, i rapporti e le diversità tra le varie tribù (ad esempio, la secolare rivalità tra Sioux e Pawnee).

E' molto importante la tecnica pittorica ad acquerello che ho usato per il mio Tokae, perché mi permette di trasmettere le giuste atmosfere e di rappresentare al meglio i paesaggi e i luoghi in cui vivevano i pellerossa; inoltre l'obbiettivo finale era di realizzare un albo cartonato alla francese di grande formato e respiro e quindi il colore è una prerogativa indispensabile.

Ho pubblicato in tutto 4 volumetti da 16 pagine l'uno che si possono raccogliere in un volume (di cui ho realizzato già anche la copertina cartonata) e sto proseguendo la serie con una storia di futura pubblicazione.

 

D.: Nello stesso periodo tu hai messo le mani su di un’altra storia western sempre legata al mondo dei pellerossa edita dall’Associazione Alex Raymond: come sei entrato in contatto con Salvatore Taormina che è l’anima di questa Associazione? Come sei arrivato al personaggio e come ti trovavi con questo eroe? I soggetti e le sceneggiature come erano? Hai intenzione di continuare a realizzare storie con questo eroe?

R.: In quel periodo avevo grande desiderio di disegnare tavole complete (da 4 anni inchiostravo soltanto per Diabolik) e così quando alla festa di Cronaca di Topolinia del marzo 2004 vidi che Taormina aveva in progetto di editare una serie western mi proposi immediatamente. Realizzai alcune tavole di prova con i suoi personaggi, ma Taormina era ben disposto nei miei confronti sin dal primo incontro. Le prove andarono bene così iniziai a disegnare il numero uno e le copertine. Gli albi all'inizio erano in formato comic book con una ventina di pagine, mentre ora sono di 30 tavole e con un formato più grande, cm21X29,7.

Gli sceneggiatori sono Renato Colombo, Simone Bazzanella, Vitaloni e Zanotelli e, pur essendo giovani, sono molto bravi e curano molto la descrizione dei particolari.

La serie mi piace molto e quindi se l'editore continuerà le avventure di Than Dai (questo è il titolo) io proseguirò la collaborazione come disegnatore. Gli albi a colori sono nati dall'interesse che Taormina ha notato da parte dei lettori per gli albi cartonati alla francese. Cosi è nata una serie parallela di Than Dai a colori con episodi autoconclusivi separati dalla continuity della serie regolare. E' stata una bella esperienza, ma stampare il colore è molto difficile e anche molto costoso, cosi per il momento la serie a colori si è fermata (mi pare al sesto episodio), ma non è escluso che in futuro se ne realizzino altri, viste le richieste del pubblico.

D.: Due dei tuoi maggiori successi sono di ambientazione western: come ti trovi con quel tipo di storie? Hai avuto difficoltà nelle ambientazioni? Preferisci questa tipologia di racconto o quella moderna in stile Diabolik?

Tu stai avvicinandoti per l’ed. Mercury ad un altro eroe classico della frontiera: Kinowa. Ci vuoi raccontare come è avvenuto questo contatto e come stai raccontando queste storie? Conoscevi già il personaggio? Di chi sono le sceneggiature e come sono costruite? Come saranno gli albi?

R.: In realtà io ho sempre adorato il genere western anche se effettivamente è impegnativo da realizzare perché devi disegnare cavalli, pistole, vestiti del passato, quindi è necessario documentarsi bene ed essere rigorosi (anche perché oggi i lettori sono dei veri esperti).

Non disdegno però neanche l'ambientazione attuale

(dove è più semplice documentarsi, basta guardarsi attorno e fotografare ciò che si vede) che implica una minore difficoltà e che oggi offre maggiori possibilità di lavoro: il genere western è un po’ in crisi, Ken Parker ha chiuso da tempo e altre serie western faticano a continuare la pubblicazione in edicola.

Nonostante questo l'editore Mercury ha deciso di realizzare una nuova storia di Kinowa, personaggio storico del fumetto italiano. La storia sarà a puntate e suddivisa in albetti da 32 tavole (più copertina) in bianco e nero e dovrei riuscire a finirla tra circa un anno. Con l'editore Mercury ci conoscevamo da tempo e a marzo del 2008 in occasione di Cartoomics a Milano egli aveva lo stand di fronte al mio. Sapendo che Stefano Mercuri è sempre in attività e edita fumetti di un certo livello mi sono proposto come disegnatore. Ho fatto delle prove per il Diavolo bianco (una serie di proprietà di Mercuri) e a lui sono piaciute, ma, vista l'urgenza di pubblicare il seguito di Kinowa, mi ha chiesto se poteva interessarmi; io naturalmente ho subito accettato.

Cosi ora sto lavorando anche su questa sceneggiatura di Kinowa (l'autore a dire il vero non è menzionato al momento), che ha un ritmo classico ma al tempo stesso dinamico ed avvincente; Mercuri per non stravolgere troppo il personaggio, mi ha chiesto di disegnare sì a modo mio, ma anche di attenermi alle caratterizzazioni già storicamente messe in atto dei personaggi principali, cosa che io ritengo giustissima.

D.: Conoscevi già quel personaggio? Hai faticato a farlo diventare tuo?

Come è avvenuto il passaggio tra un eroe western che usa il terrore per spaventare i suoi nemici e la ripresa di un eroe nero come Sadik? Come ti sei avvicinato a Sadik? Come sono le sceneggiature? C’è una certa vicinanza con Diabolik?

 

R.: Non conoscevo molto Kinowa e effettivamente questo personaggio, Sam Boyle, che ha uno sdoppiamento della personalità e, indossando la maschera di Kinowa, diventa cattivissimo, mi ha affascinato.

Anche Sadik usa una maschera; a dire il vero non conoscevo molto anche Sadik anche se sapevo che faceva parte dei cosiddetti fumetti neri usciti sulla scia del successo di Diabolik dopo il 1962( come Kriminal, Satanik e altre).

La proposta di disegnare Sadik mi è arrivata da Paolo Puccini che a marzo di quest'anno mi ha chiamato dicendomi di voler dare al pubblico un albetto inedito di Sadik per la nuova edizione della mostra del Quark Hotel (a fine settembre a Milano).

L'idea mi è piaciuta molto e grazie anche al suo aiuto mi sono documentato bene, soprattutto sui primi numeri che sono quelli preferiti dal creatore del personaggio e suo principale sceneggiatore Nino Cannata.

Ho scoperto un bel personaggio, molto simile a Diabolik sia nell'impostazione delle sceneggiature che nella realizzazione grafica (anche qui si usa un disegno realistico e il retino).

Devo dire che quindi mi sono trovato bene a disegnarlo (vista la mia esperienza come inchiostratore in Astorina) e il rapporto con Nino Cannata è splendido. E' una persona deliziosa, disponibile, paziente e un grande professionista; inoltre le sue sceneggiature sono equilibrate  e dinamiche. Mi auguro che in futuro potrò disegnare altri albi di Sadik, se la serie incontrerà i gusti del pubblico.

D.: E per chiudere quali sono i tuoi progetti per il futuro a breve e a più lungo termine?

R.: Per il futuro ho molti progetti nel cassetto:

innanzi tutto continuerò a disegnare Than Dai che è un personaggio a cui sono molto affezionato, l'ho aiutato a crescere e sembra che prestigiosi editori l'abbiano adocchiato e lo vogliano pubblicare (per correttezza non citerò i nomi); come dicevo completerò l'episodio di Kinowa, che mi sta coinvolgendo sempre di più; mi sto dedicando anche al fumetto comico e sto lavorando ad un mio progetto (con altri collaboratori), che spero presto di poter pubblicare; con la mia ragazza (Svetlana) stiamo lavorando ad un diverso progetto molto interessante: un fantasy medievale. Noi vorremmo realizzarlo in stile francese con linea chiara e a colori, ma si tratta di una cosa molto laboriosa e non so quando sarà pronto da stampare; naturalmente devo completare la seconda parte del mio fumetto Tokae, che è parte della mia anima; lo debbo anche come segno di rispetto verso i lettori che mi hanno seguito sin dagli esordi con il numero 0 al Quark Hotel 2004.

Quindi tanti progetti, ancora tanto entusiasmo e tanta voglia di raccontare attraverso questo meraviglioso linguaggio espressivo che è il fumetto.

 

LUCIANO TAMAGNINI

 

Rivista di Comics a cura dell’Assiciazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione “Fumetto, anno XVII, numero 67, novembre 2008

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